“INCONTRO ALLE DOCCE”. Uno spaccato della Milano per strada in tempi post covid.

Ci incontriamo con Mimmo alle docce pubbliche di Baggio, è un martedì piovoso e umido.

Una piccola coda aspetta pazientemente il proprio turno per fare la doccia, scaldarsi un poco, lavare i pochi indumenti con sé, e trovare un breve momento di conforto nello sguardo di chi li accoglie.

Mimmo è l’operatore di Caritas che lavora ogni giorno con i nostri colleghi alle docce di Baggio: lo si trova seduto alla sua scrivania con il consueto sorriso paziente e rassicurante, pronto ad accogliere i nuovi tesserati e a dare tutte le risposte alle domande di aiuto di chi vive per strada o attraversa un momento di forte difficoltà o disagio.

Lo incontriamo per fargli qualche domanda su come sia cambiata la situazione di chi accede ogni giorno alle docce pubbliche in seguito alla pandemia.

Con la pandemia come sono cambiati i beneficiari delle docce?

Il periodo della pandemia da Covid ha influenzato in maniera negativa i beneficiari delle docce, soprattutto i “senza dimora”, generando un senso di “paura” e di “distacco” dalle abitudini. Per loro “fare la doccia” o “cambiare gli abiti” sono momenti importanti, un modo per poter – almeno in parte – sentirsi accettati e “visibili”, e il Covid è andato a rendere ancora più complicato l’accesso a questi servizi essenziali. In quel periodo, si sono messi in atto perciò numerosi servizi “straordinari”, grazie alla rete sociale di Caritas Ambrosiana dedicata alla grave emarginazione adulta, ai servizi SAI e SAM, ai CDA delle Parrocchie di Milano e provincia, agli interventi della Cooperativa Detto Fatto, della Croce Rossa e di Emergency assieme ad alcuni servizi del Comune di Milano, il CASC.

 Quali sono le attese e le difficoltà che ti vengono condivise più spesso?

Trattandosi di persone per lo più senza dimora, le aspettative maggiori sono in ordine: quelle relative alla richiesta di un posto letto insieme alle richieste di soddisfazione dei bisogni primari, come mense, sanità e assistenza sociale. Importante è la fase di ascolto: le persone non ti raccontano subito la loro storia, occorre avere la pazienza di capire a fondo i loro bisogni, cosa non sempre facile.  Una volta effettuato il momento di “aggancio” però è possibile fissare dei traguardi fattibili e raggiungibili come, ad esempio, tirarsi fuori dalla vita di strada, curarsi e fidarsi delle istituzioni, sia private che pubbliche.

 Qual è secondo te il problema più grande oggi che le persone devono affrontare?

Per le persone incontrate alle docce pubbliche – la maggior parte delle quali senza dimora, con tutte le problematiche che questa condizione comporta – è il vivere quotidianamente con il pensiero di cercare da mangiare o dove dormire, la paura di essere derubati e di stare bene in salute, cosa difficile per chi vive in strada. Molti di loro hanno dei riferimenti “di strada”, che confortano quest’aspetto soprattutto di notte, ma di giorno si trovano ad aver a che fare con tante persone indifferenti. Venire alle docce per molti di loro significa essere accettati per quello che sono, e per molti di loro questo è sicuramente un bene.

 Quali piccole risposte ognuno di noi può dare per sostenere chi oggi a Milano è ai margini?

Penso che fondamentale sia non mostrare indifferenza, avere la capacità di mettersi “nei panni dell’altro”. È possibile poi diventare protagonisti nell’aiuto concreto a queste persone, come fanno i volontari e gli operatori che cercano di dedicare loro un po’ di tempo e di aiutarli a capire che è possibile cambiare vita nonostante le difficoltà pur pesanti e a volte devastanti.

 Le richieste che ti rivolgono sono cambiate?

No, le richieste principali – relative al vivere quotidiano, alla sensazione di essere esclusi, di non riuscire a cambiare la propria vita – sono profonde e sempre le stesse. Cerchiamo di affrontarle con grande umanità e rispetto della dignità. Quando una persona chiede un aiuto per il dormitorio, per una mensa, un guardaroba, per una residenza, per un contatto con i servizi sociali od altro, e trova nel suo interlocutore una “speranza”, questa persona inizierà a fidarsi e ad accettare un percorso di fuoriuscita dalla grave emarginazione.

Quali sono le tue considerazioni e previsioni per il futuro?

Per quanto riguarda il futuro, penso sia importante evidenziare come un servizio pubblico (docce comunali) all’interno di una gestione solidale di questa importante attività (Coop. Sociale Detto Fatto), abbia la prerogativa fondamentale di esserci, di stare vicino alle persone senza dimora, assieme allo Sportello Sociale Caritas, e con loro tentare di cambiare la vita (almeno per qualche persona) in positivo, nella speranza che dall’invisibilità si possa passare all’essere visibili e riconosciuti.