Incontro con i fondatori: ALBERTO RISI
- 17 Giugno 2020
- Postato da: Simone Gallo
- Categoria: Non categorizzato
Vocazione “apripista”, la sua storia è legata alla nascita di 3 o 4 cooperative, affidate poi a chi ha proseguito le attività. Ancora oggi Alberto è socio volontario della cooperativa e settimanalmente accoglie le persone che vengono alle docce con caffè e biscotti… piccoli gesti concreti che dicono amicizia e solidarietà. Per noi un testimone fedele nel corso degli anni!
Quando è nata l’idea Detto Fatto?
Quando è iniziata la cooperativa io non c’ero. La Detto Fatto è cominciata con un corso, finanziato da fondi europei, di elettricità e idraulica, per 10-12 ragazzi della durata di qualche mese. In quegli anni cominciavano a chiudere le grandi imprese di Sesto, la capacità di assorbire occupazione cominciava a restringere e cominciava ad esserci in giro disoccupazione. In questo clima di preoccupazione per il lavoro, finito il corso, si è pensato di fare la cooperativa sociale. In quel momento c’erano già alcune cooperative sociali: Solaris, Sommozzatori della terra, e un’altra cooperativa di Gratosoglio. Le cooperative erano nate con l’interessamento di sindacalisti che spingevano perché nascessero queste realtà.
Quale la situazione al suo arrivo in cooperativa?
La Detto Fatto nasce con mezzi molto poveri. La prima sede fu in Via mantovani, che era nella zona vecchia di Sesto. Era stato affittato una sorta di scantinato in cui pioveva dentro. Io sono arrivato nel 1985, dopo pochi mesi che la cooperativa aveva cominciato ad operare. I lavori che si svolgevano erano lavori molto semplici: assemblaggi, qualche piccolo appalto di pulizia.
Io arrivo nell’85, con l’esperienza di artigiano e piccolo imprenditore; attività che avevo chiuso perché avevo deciso di fare altro. Però avevo esperienza di lavoro e questo è servito a mettere in piedi un poco di nuove attività: imbiancatura, lavori di idraulica, qualche manutenzione… a poco a poco siamo cresciuti fino a quando don Virginio Colmegna ha avuto l’opportunità di prendere lo spazio in Via Falck dove c’erano il Mutuo Soccorso e i Maestri del lavoro. Lo stabile era lo stabile in cui la Falck formava le persone che poi avrebbe assunto per alcune specifiche professioni. Siccome questa scuola non funzionava più, c’era la possibilità di prendere gli spazi in cui si è sviluppata la cooperativa e le attività.
Altra opportunità per la cooperativa è stata la legge Gozzini che consentiva ai detenuti di usare misure alternative alla detenzione (permessi di lavoro). Noi abbiamo intercettato questa possibilità. In carcere invece chi ha aderito sono stati gli ex BR e Prima Linea. Per cui fra noi e Lotta ne abbiamo tirati fuori dal carcere parecchi… cosa che ha dato un poco di notorietà all’esterno alle cooperative, insieme a qualche problema in più!
Però questo ha portato a nuovi sviluppi della coop e si sono aperti nuovi settori produttivi: la stampa e la serigrafia che sono andate avanti alcuni anni.
Cooperativa e territorio: come era il sentimento verso la coop?
All’inizio si faceva fatica a trovare lavoro, non c’erano commesse e quindi non andava tanto bene, però poi ti trovi davanti alle difficoltà del mercato. Inoltre, noi eravamo appoggiati alla Parrocchia che ha attivato volontari e conoscenze; cosa che ha aiutato parecchio anche se c’è sempre stata una laicità della cooperativa, ma il fatto di avere buoni rapporti con la Parrocchia ha aiutato. In più c’era l’altra cooperativa, Lotta c/e, con cui ci si è molto confrontati. Il territorio ha accolto bene la cooperativa e anche il fatto che ci fossero dei detenuti non ha creato problemi.
Sicuramente c’è stata qualche difficoltà ma questo era da mettere in conto.
I valori della Detto Fatto: ci sono ancora?
Credo che queste non siano mai mancati e il progresso e percorso della cooperativa lo dimostrano. La mia esperienza personale è che io dopo 5 anni in Detto Fatto sono andato a fare un’altra cooperativa non perché non condividessi i valori ma perché c’erano divergenze di opinioni sulla gestione concreta della cooperativa. Per cui io ho deciso di andare ma sono sempre rimasto socio della Detto Fatto. I valori li ho sempre condivisi ma i modi operativi a volte divergono e quindi sono andato a fare altro.
Il mio “primo amore cooperativo” è stata la Detto Fatto da cui sono tronato da pensionato: cosa c’è da fare? Sono qua!
Come è avvenuta la scelta delle attività da svolgere?
Io sono andato via perché non ero d’accordo con questa continua ricerca di nuovi ambiti di intervento perché la cooperativa “si deve professionalizzare”, deve trovare cose utili e intelligenti da fare. La mia posizione invece era che noi avevamo a che fare con persone non professionalizzate, con notevoli problemi e quindi possiamo essere competitivi solo sui “lavori di merda”. Se ci mettiamo a fare i lavori ad alta professionalità, ci perdiamo perché c’è gente che sa farli molto meglio di noi e tra l’altro pagata meglio!
Per cui, vendiamoci bene questa cosa. Continuare a cercare di aprire nuovi settori, non è servito a molto perché non è rimasto molto.
Per cui il fatto di avere lavori a bassa qualifica ma fatti bene, ti fa diventare competitivo; credo di avere avuto un poco ragione…
Come ad oggi la cooperativa può confrontarsi con il mondo del lavoro? Quali possono essere i punti di forza della Detto Fatto?
Bisogna crescere con un poco di umiltà, guardando alla nostra reale situazione, individuare le nostre forze e a partire da queste forze, cercare di migliorare e di crescere. Questo vuol dire che si fanno pulizie ma si fa anche formazione per essere bravi a farle.
Ma se ogni 2 per 3 apriamo un settore nuovo solo perché è bello e ci rende interessanti, allora non sono d’accordo.
Oggi il lavoro della Detto Fatto? La cooperazione sociale serve ancora?
Questo è un momento critico per tutti. La cooperativa può sfruttare bene il momento, cercando di capire dove va il mondo del lavoro. Quando è nata la cooperativa, ricordo che percorrendo la strada da Milano a Monza c’era una serie infinita di ditte e sotto-ditte… dato dall’indotto delle grandi imprese. Oggi non c’è più nulla di ciò.
Oggi c’è lo spazio per le realtà che hanno i valori che dovrebbero avere le cooperative? Credo di sì. Certo che bisogna ampliare la mentalità. Voi avete fatto un bel percorso: nel 1985 la Nuccia (nostra commercialista anche oggi) mi sgridava perché i libri contabili erano bagnati perché in sede entrava l’acqua… quelli erano i problemi quotidiani.
C’è ancora spazio perché la cooperazione aiuti chi arriva senza nulla, in grande difficoltà?
La coop deve intercettare i bisogni di oggi. Se la strada è di sfruttare le situazioni, senza fare riferimento ai valori fondativi, allora direi che è meglio non accogliere.
Se invece si tengono buoni i valori che ci hanno fatto nascere, allora sì. Lo spazio c’è. Queste cooperative sono nate quando è cominciato a mancare il lavoro. Il mercato cosa vuole? Il lavoro ha ancora senso? Io credo che il lavoro abbia ancora senso e centralità! La cosa principale è tenere a mente quali sono i valori fondanti.
Quali sono le sfide oggi?
E’ interessante coltivare i rapporti con il Comune e con i servizi sociali perché questo è qualcosa a cui non si può rinunciare, anche da un punto di vista delle commesse che possono derivare dall’amministrazione.
Quando io sono andato via, dopo di me è arrivato Rolando Ghiro. Lui aveva una grande esperienza da sindacalista ma aveva paura di prendere in mano la responsabilità organizzativa.
Ricordo di essere andato via lasciando una lettera molto polemica che ho conservato ma che non mostro a nessuno…
Al tempo della nascita della cooperativa, nessuno avrebbe creduto che oggi avreste avuto una sede vostra, 100 lavoratori… sicuramente io non sarei riuscito a gestire una cooperativa del genere perché la testa io ce l’ho ancora da artigiano, per cui se non è tutto sotto la mia vista, non si va avanti.
Però credo che la mia esperienza sia servita per la prima fase, che era anche la fase della fatica del gregario che pedala duro!