Le voci al femminile di Detto Fatto: Ileana

Abbiamo inaugurato, a luglio di quest’anno, una nuova rubrica per dare spazio e voce alle tante storie dei nostri colleghi.

Ci sembra importante che una parte di queste voci raccontino la storia di Detto Fatto attraverso gli occhi delle sue lavoratrici: le storie, le ambizioni e gli ostacoli, il loro particolare contributo alla cooperativa, le loro visioni della società, del lavoro e del futuro.

Questa narrazione al femminile parte dal nostro presidente, Ileana Malfatto, proprio per la sua tenacia, competenza e profondità di visione!

  1. Raccontaci di te. Come e da dove nasce la tua passione imprenditoriale? Cosa ti ha portata in Cooperativa?

Nel 1999 quando ho fatto il colloquio in cooperativa, lavoravo da poco in una piccola impresa. Venivo da un percorso di impegno sociale ed ecclesiale. Ero alla “ricerca di senso” anche nel lavoro: stare con i lavoratori più fragili e provare a costruire con loro un mondo del lavoro più giusto era quello che desideravo in quel momento.

Ho sostenuto il colloquio di fronte a due dei responsabili storici della cooperativa: mi hanno detto che non erano in cerca di una segretaria, ma che avevano necessità di un uomo che sostenesse con forza i percorsi della cooperativa. Avrei potuto spaventarmi, ma quel giorno hanno prevalso la volontà e l’orgoglio di dimostrare che una donna non deve per forza “fare la segretaria”.

Mi hanno dunque assunto…non credo ci fossero altri candidati!

È cominciato così – con un poco di incoscienza – il mio cammino in Detto Fatto. 

La passione imprenditoriale l’abbiamo coltivata “insieme”: ciò che mi spinge e mi guida è l’urgenza che la cooperativa continui ad offrire a tutti suoi dipendenti occasioni di lavoro dignitoso e stabile perché le persone possano costruire con serenità la propria vita. 

Il 10 gennaio 2000, giorno della mia assunzione in Detto Fatto, eravamo 15 lavoratori e ricordo bene le persone che mi hanno accolto. Ricordo Rolando (uno dei responsabili che mi ha assunto) e il suo sorriso quando è venuto a salutarmi dopo tre giorni … per “lasciarmi il tempo” di sentirmi al mio posto. Sono grata a tutti per essermi stati vicini con fiducia, giorno dopo giorno, raccontandomi la cooperativa e il lavoro.

Come ognuno dei miei colleghi, cerco di onorare la cooperativa con la serietà, l’impegno, la fatica e la curiosità di imparare cose nuove. Mi sento debitrice nei confronti dei miei colleghi: il lavoro pesante lo fa la maggior parte di loro… Ogni giorno so che sono loro a creare la ricchezza che sostiene la cooperativa e paga tutti gli stipendi: da questa consapevolezza viene il rigore che cerco di esercitare nel mio lavoro.

  1. Cosa significa essere Presidente di una cooperativa sociale? Hai dovuto superare degli ostacoli in quanto donna nel tuo percorso professionale?

Di per sé essere presidente di una cooperativa sociale non indica nulla di preciso perché ogni cooperativa ha declinato in modi diversi le funzioni amministrative e gestionali. In Detto Fatto siamo passati – ad oggi – ad una organizzazione “cooperativa” che opera per deleghe e percorsi di crescita nelle competenze, e che considera relazioni e prassi informali quali contributi necessari e inclusivi per un’impresa. Questo penso sia uno degli apporti più personali che ho coltivato nel mio percorso in Detto Fatto. Credo che questa ricerca organizzativa derivi da una sensibilità imprenditoriale “femminile” anche se non necessariamente vissuta solo dalle donne: è l’esercizio della responsabilità in cooperativa attraverso la cura dei processi, delle persone che lavorano e dei beneficiari delle nostre attività. Gli obiettivi economici e societari sono strumenti!

Fra le cooperative sociali di tipo B, le responsabili donna non erano molte nel 2000 e non sono molte nemmeno ora. Il fatto di diventare mamma mentre eserciti una responsabilità formale, penalizza te e la cooperativa perché implica una presenza diversa o ridotta… il tempo della maternità è percepito e vissuto a livello professionale come un buco nero. 

Credo che sia molto radicato nella cooperazione anche sociale, un modello di responsabilità basato più sul “presenzialismo” che sull’esercizio della delega. “Se non sei presente di persona, in qualsiasi momento della giornata e per qualsiasi imprevisto, non puoi avere tutto sotto controllo e quindi non puoi esercitare una responsabilità in modo adeguato… “, ho percepito più volte che questo fosse il giudizio rispetto al ruolo da me esercitato.  

Una delle difficoltà più grosse è sentirsi dire che porre il tema della parità di genere nel lavoro è banale e inutile: in Italia i dati dicono il contrario … 

  1. Come sei riuscita a gestire le tue risorse materiali, mentali ed emotive nel conciliare lavoro e famiglia?

Non è che ogni giorno io sia riuscita a gestire risorse materiali, mentali ed emotive in modo ottimale… A volte ho abusato di tutte le risorse per conciliare tutto con il risultato di trascurare tutto. 

Sicuramente non ho fatto tutto da sola. 

Mio marito non ha delegato a me i figli e la casa, ma ha condiviso la responsabilità genitoriale in modo intelligente e operativo. 

Qualche volta mi sono lamentata del fatto di non poter scegliere di “stare a casa”, ma mia madre – casalinga per “patto matrimoniale” – mi ha aiutato a vedere non solo i limiti dell’essere mamma-lavoratrice ma anche le opportunità: non ho dovuto subire sensi di colpa per il fatto di non “rinunciare a qualcosa di meno importante dei figli”. 

Ho avuto anche il sostegno molto concreto di alcuni amici molto cari che ci hanno “adottato” perché avevamo i nonni lontani. 

Quando ho dovuto lasciare mio figlio di 9 anni solo a casa alle 6 del mattino con il pensiero che non si svegliasse, non facesse colazione, perdesse il pulmino, il coraggio l’ho trovato pensando alle mie colleghe che vivevano la stessa cosa e parlando con loro dei “nostri figli”.

Essere genitori e lavoratori sono due opportunità (e necessità) molto diverse, che possono coesistere e la cui “conciliazione” aiuta a crescere: le energie vengono dalla fiducia che si possono cercare soluzioni e che è bello – molto bello – viverle. 

Credo che anche per i miei figli – che si sono trovati “questa mamma” e “questa famiglia” – sia un messaggio positivo.

  1. Quali credi possano essere le soluzioni per superare le difficoltà che le donne incontrano nel mondo del lavoro di oggi?

Prima di tutto non banalizzare la necessità di una riflessione concreta e politica sulla questione del lavoro delle donne in Italia. In Italia non c’è parità di genere sul lavoro e questo è un dato di fatto innegabile e che penalizza tutti, non solo le donne.

I servizi per le famiglie (asili nido, gestione del tempo delle vacanze, visione adeguata del rapporto scuola/famiglia, forme nuove di accudimento e cura fra cittadini) sono stati fondamentali per noi e possono essere un motore di crescita nelle nostre comunità. 

E poi come donne dovremmo avere il coraggio di sana empatia e complicità, non per fare lobby ma per arricchire il luogo/tempo pubblico e collettivo, con il nostro contributo. Potendo scegliere, perché non assumiamo in numero uguale uomini e donne?

Con orgoglio segnalo che i colleghi che si sono licenziati da Detto Fatto per iniziare una propria attività, sono stati tre e tutti e tre donne: abbiamo potuto incoraggiarle e concordare con loro un tempo di transizione in modo che il nuovo inizio non fosse contrassegnato da totale insicurezza … 

  1. Quanto le donne hanno contribuito alla storia di Detto Fatto e alle sue evoluzioni?

I fondatori erano dodici e tutti uomini. Oggi il CdA è composto da tre donne e un uomo; le persone che hanno responsabilità sono nove e di queste sei sono donne e tre uomini.

Sto rendendomi conto ora del contributo delle donne, in quanto donne, alla vita della Detto Fatto. Nonostante sia sensibile ai temi del genere non ne ho fatto una crociata e, al di fuori del lavoro, i miei punti di riferimento sono stati molto più spesso uomini che donne.

Quando sono arrivata in cooperativa sono stata accolta da due donne che sono ancora presenti: Rosangela e Nuccia. Rosangela lavora in cooperativa dal 1988, mi ripete ogni settimana che noi due ormai siamo vecchie e che andremo al ricovero insieme. È un onore essere parte della sua vita, anche se spero che le sue profezie siano decisamente “molto future”!

L’accoglienza di Nuccia, la nostra storica commercialista, per me è stata fondamentale e lo è ancora. Con molta fermezza mi ha invitato a fare alcune scelte per la cooperativa, a imparare cose nuove e pormi tante domande. Mi ha aiutato a imparare, mi ha sostenuto e ha cercato con me soluzioni. Ancora oggi si entusiasma quando le poniamo quesiti su ambiti nuovi: si mette subito a studiare e cercare con noi.

La maggior parte dei nostri consulenti sono donne. Non è una teoria generale che determina le nostre scelte: di fatto abbiamo proseguito le consulenze con le donne e gli uomini che non danno soluzioni precostruite, ma rispondono alle domande mettendosi alla ricerca della soluzione migliore per la cooperativa e con la cooperativa. A fronte di questa nostra aspettativa, sono rimaste più donne che uomini: registro solo un dato di fatto.

Anche noi in Detto Fatto, ai nostri colleghi, non diamo soluzioni alle loro richieste organizzative o di lavoro; cerchiamo di dare loro strumenti e supporti per raggiungere gli obiettivi comuni. Questo stesso atteggiamento professionale mi è capitato più spesso di coglierlo nelle donne che ci hanno affiancato. Può sembrare un approccio operativo ed organizzativo meno efficiente perché richiede processi e quindi tempo, risorse umane, e spazi anche fisici. I processi però sono più efficaci perché fanno crescere un “noi” attraverso un’esperienza che richiede cura e libertà; su un processo comune nessuno può mettere una sola firma o appropriarsene. 

È un “modo femminile” di vivere l’autorità e anche la competenza.

  1. Cosa la Cooperativa fa o pensi che potrebbe fare per incentivare il lavoro femminile e il benessere delle sue lavoratrici?

È una bella domanda. È una domanda che dobbiamo continuare a porci.

Oggi quello che abbiamo cercato di fare è creare condizioni organizzative che consentano a tutti i lavoratori di lavorare pur avendo necessità di accudire la propria famiglia: questo è positivo per le donne e per gli uomini. Abbiamo scelto di rifiutare un modello organizzativo centralizzato e deresponsabilizzante; questo si traduce per esempio con “l’affiancamento” piuttosto che “l’ordine di servizio”.

La cooperativa deve moltiplicare le occasioni di lavoro buono; le persone se hanno un lavoro sostenibile, poi fanno il resto! 

Qualche settimana fa mi ha chiamato una collega “della prima ora” che ha cominciato a lavorare con noi appena arrivata in Italia e che da anni non incontravo: mi annunciava che suo figlio si è laureato in ingegneria e ha già trovato lavoro. Mi ha molto commosso: abbiamo parlato dei nostri figli e mi sono accorta che abbiamo costruito – per un pezzo – la nostra reciproca storia, insieme. Il benessere per me viene anche dalla reciprocità nelle relazioni che la cooperazione consente; spero sia lo stesso per le mie colleghe!

A volte le nostre colleghe provengono da percorsi di violenza di genere: inutile far finta che questo non esista. Così come anche colleghi uomini hanno storie di soprusi subiti. Tutto questo segna e accomuna nella necessità di un modo di lavorare rispettoso e che riconosca ognuno come risorsa, nonostante e grazie le nostre fragilità. Ammiro tanto la delicatezza nei nostri colleghi, da qualsiasi latitudine provengano, e ritengo che i loro gesti concreti di attenzione verso le colleghe siano “rivoluzionari e costruttivi” … ne vedo tanti e sono loro molto grata. 

Chi ha subito prevaricazioni e sente di non avere potere in questo paese, sa fare gesti impercettibili ma straordinariamente forti: riconoscere nei miei colleghi questi valori e questi segni è la prima cosa da imparare e da fare. Saremo poi “noi e insieme” a trovare risposte utili!