Le voci di Detto Fatto… Luis si racconta

Abbiamo deciso, in questo 2021, di inaugurare una nuova rubrica per dare spazio ai nostri colleghi.

L’idea è nata durante la ricorrenza della Giornata del Rifugiato: abbiamo pensato ai tanti colleghi scappati da conflitti e abusi; abbiamo pensato alle loro incredibili storie di riscatto e ripartenza, al loro coraggio…  come restituire un frammento di giustizia, una voce, un momento in cui raccontarsi e condividere qualcosa di sé? Così nasce la rubrica di interviste che inauguriamo oggi.

Pensiamo possa essere importante, non solo per i nostri colleghi – per fornire uno spazio in cui riappropriarsi di sé e condividere la propria realtà – ma per tutti noi, per imparare a camminare a fianco dei colleghi più fragili, per imparare a vedere le cose da una prospettiva differente, per capire il valore del lavoro e cosa significhi davvero essere una cooperativa sociale…

Il primo collega a volersi raccontare è Luis; arriva in cooperativa e saluta tutti con il suo modo di fare solare e contagioso. Luis lavora con noi da dicembre 2019: ha gli occhi che sorridono e una positività che ci travolge tutti!

Ci accomodiamo insieme in sala riunioni e lo avvisiamo “Luis sei il primo collega a cui proponiamo questa intervista…sei il nostro primo esperimento!”. Lui ride e ci dice di essere contento: poter raccontare qualcosa di sé, della sua esperienza, del suo viaggio di vita e in Detto Fatto.

Luis ti va di condividere la tua storia? Come sei arrivato in Italia? Da quanto tempo sei nel nostro paese? Quali sono le difficoltà che hai incontrato?

Ti farò ridere un po’. Prima di tutto il mio bisnonno era italiano, originario di Sala Consilina, in provincia di Salerno. Era emigrato in Venezuela. A un certo punto, con la moglie e i figli più piccoli, aveva deciso di rientrare in Italia. Aveva lasciato là solo il figlio più grande per sbrigare alcune pratiche.

Il figlio più grande però non li ha mai raggiunti: il bisnonno ha mandato allora il secondo figlio e poi il terzo – mio nonno – per recuperare i fratelli, ma alla fine sono rimasti tutti e tre lì. Questo perché il Venezuela di allora era un altro paese: negli anni Trenta c’era un forte boom economico. Era un’altra epoca, c’era un benessere pazzesco.

Per questo la mia famiglia ha poi chiesto la cittadinanza.

Ho sempre avuto il desiderio di venire In Italia, per conoscere il paese, non per trasferirmi. In quell’epoca non era arrivato ancora il Comunismo al potere, non era il Venezuela di prima però si stava ancora bene.

Sono in Italia dall’agosto del 2019, quindi da due anni. Ho imparato un po’ la lingua, non parlo ancora così bene, però sento che riesco a farmi capire!

Tutto è partito da mia sorella, la più piccola di noi tre fratelli: è venuta in Italia per prendere la doppia laurea e si è fermata qua. L’ha raggiunta per prima mia madre: era un periodo un po’ difficile dove stavamo noi, avevamo un po’ di soldi messi da parte, così le abbiamo consigliato di raggiungere nostra sorella in Italia. La situazione in Venezuela stava peggiorando: ogni giorno era più difficile, un caos tremendo, così mia mamma ha deciso di fermarsi qua. Ha fatto la badante, lei è psicologa scolastica. Aveva una scuola in Venezuela, ma con tutta questa storia di Chávez, ha dovuto chiuderla.

Con i soldi guadagnati grazie al lavoro da badante è riuscita a portare in Italia anche l’altra sorella, la più grande di noi, con la sua bambina. Io sono rimasto in Venezuela, però ogni giorno era più difficile, ci sono stati dei giorni in cui non avevo nulla da mangiare…

Un giorno mia mamma e le mie sorelle mi hanno proposto di acquistare per me un biglietto d’aereo per l’Italia: un giorno in cui ero davvero stanco di tutta quella situazione ho acconsentito. Questa domanda me la facevano ogni volta che ci sentivamo…

Ho lavorato tre mesi con un collega e amico: durante quel periodo sono rimasto a casa con la sua famiglia…erano giorni lunghissimi di lavoro.

Il giorno della partenza non mi hanno lasciato passare la frontiera, mi hanno detto di tornare il giorno dopo, la mattina presto. Io volevo andare via la notte prima per raggiungere il Brasile e prendere l’aereo il giorno dopo, invece sono dovuto tornare la mattina seguente. In Brasile, quando prendi il taxi, dal Venezuela per arrivare alla prima città, che è Boa Vista, possono lasciarti al terminale oppure possono lasciare ognuno all’indirizzo di destinazione…mi hanno lasciato per ultimo. Sono uscito dal taxi e salito direttamente sull’aereo.

Erano tre giorni che mia mamma non aveva mie notizie: non sapeva se ero riuscito ad uscire dal paese o se ero ancora in Brasile. Solo quando sono arrivato in Spagna e c’era un WiFi libero sono riuscito a chiamarla per rassicurarla. È stata un po’ un’avventura.

Così sono arrivato in Italia e mi è piaciuto subito tantissimo! C’è una storia su ogni strada di Milano e ci sono tantissimi siti sul web su cose da andare a vedere e curiosità!

Quando sono arrivato, non parlavo l’italiano. Riuscivo a capire un po’ perché la lingua è molto simile allo spagnolo, però parlare è più difficile. Sbaglio ancora qualche articolo! 

Adesso sto provando a fare la patente, e mi sta aiutando a imparare un po’ meglio la lingua!

Come sei entrato invece in cooperativa?

Quando sono arrivato a Milano il primo passo è stato fare tutta la documentazione e mi sono mosso subito per imparare l’idioma. 

Ho trovato un corso al CPIA 5 a Pontano, vicino a dove abitavo, e ho iniziato a frequentare le lezioni di livello A2. Lì ho conosciuto un ragazzo che lavorava con la Detto Fatto. Ogni giorno lui parlava del suo lavoro, che gli piaceva. Dall’Africa era riuscito a portare in Italia la sua bambina: ha detto che era stato molto difficile e costoso però era riuscito a farlo. Un giorno questo ragazzo è arrivato al corso con un sorriso che la faccia non riusciva a contenere – era troppo grande il suo sorriso: era riuscito a prendere un contratto a tempo indeterminato! Per noi stranieri prendere l’indeterminato è la sicurezza, è per quello che esci dalla tua casa a cercare un altro paese. Gli ho detto che volevo assolutamente lavorare dove lavorava lui! Era dicembre del 2019, avevo il mio curriculum in mano: una signora dell’Equador mi aveva aiutato a scriverlo, era pieno di errori ortografici…

Sono andato in cooperativa per portare il CV. Il 13 dicembre mi hanno chiamato per fare il colloquio e il giorno dopo ho iniziato a lavorare per Detto Fatto! Ho iniziato facendo le sostituzioni ferie. Mi hanno assunto per venti ore settimanali e quando ho ricevuto la prima busta paga è stato bellissimo! 

Prima di Detto Fatto facevo il rider: avevo chiesto dei soldi in prestito per comprare una bici e avevo iniziato a fare le consegne a domicilio. Poi ho visto che la Detto Fatto ogni giorno mi chiedeva nuove disponibilità di lavoro e allora ho lasciato la bici per lavorare esclusivamente per la cooperativa.

E ti trovi bene?

Ringrazio tantissimo la Detto Fatto e tutti i miei colleghi perché in un anno, o poco più, sono riuscito a fare quello che non ho fatto in 30 anni in Venezuela.

Certo che quando lasci il tuo paese c’è quel vuoto, c’è una mancanza. Però quello che ti manca non c’è più, almeno nel caso del Venezuela: è solo nella tua memoria, non esiste più. 

Tutta la mia famiglia è qua. Ho trovato una ragazza, del Venezuela anche! Ho un appartamento che è di Detto Fatto, me lo ha affittato. Quindi mi ripeto che non mi sta andando male. 

È un nuovo inizio. Tutto quello che mi sono prefissato di fare, l’ho fatto. Il primo anno, appena arrivato, mi sono imposto di imparare la lingua e di trovare un lavoro. Nel 2019 avevo come obiettivo un indeterminato e una casa: ci sono riuscito!

Nel 2020 ho iniziato con tantissime idee in testa, però non ho fatto tutto! Volevo fare la patente, ho chiesto aiuto alla cooperativa e mi hanno sostenuto. Il 2020 è stato un anno un po’ diverso, la patente la sto facendo ora. 

Quest’anno ho come obiettivo la patente e una macchina, e l’anno prossimo vorrei riuscire a prendere un appartamento un po’ più grande. 

Come vedi il tuo futuro ora? Hai un sogno da condividere?

L’unico sogno che ho – a parte quello che vogliamo tutti, una famiglia e dei figli – è trovare una forma di lavoro che mi permetta di andare in giro ogni tanto, magari due o tre volte all’anno. 

Mi piacerebbe tornare in Venezuela, non a viverci, però ho lì tutte le zie e i parenti. I cugini in realtà sono un po’ in tutto il mondo…tutti noi del Venezuela siamo in tutto il mondo …

Per i migranti quello che diventa ancora più difficile è che devi lasciare te stesso per iniziare un’altra volta. Se lo fai nel tuo paese sei ancora nella tua zona di comfort e, quindi, non c’è problema. Però quando esci di lì è un po’ più dura. 

Io qua non sono nessuno, non ho nessuna storia, nessuno mai mi ha visto fino a che sono entrato in Detto Fatto. Ho una laurea di cinque anni e un percorso che in Italia non conta niente. Anche mia mamma e le mie sorelle hanno una laurea, ma hanno dovuto iniziare tutto da capo. 

Per noi in Venezuela se sei straniero è quasi meglio che essere venezuelano, perché dalla diversità possiamo imparare un’altra forma di vita. Adesso che siamo noi stranieri riusciamo a capire tutto quello che prova una persona che esce dalla sua storia per scrivere un’altra storia completamente da capo.

Però è un percorso interessante: puoi sfruttare quello che stai facendo, quello che stai imparando, per riscrivere un’altra volta la tua vita, oppure continuare a soffrire per quello che hai perso, o per quello che credi di aver perso o che credi di avere lasciato. Io credo che sia meglio fare quello che ti fa felice… è la tua vita!

Con Detto Fatto ho avuto molte opportunità, so di essere stato fortunato. Sono troppo gentili i capi e tutti i colleghi. Attraverso Caritas ho avuto l’opportunità di girare la Lombardia, di capire cosa fa la Chiesa e di offrire aiuto ad altri venezuelani in difficoltà.

È un’altra bella esperienza di vita sentirsi utili. Con il lavoro alle docce pubbliche, con il servizio di distribuzione abiti, impari davvero qualcosa, e visitando tutti i posti che ha Caritas impari un sacco e ti viene ancora più voglia di lavorare!